Non tutte le donne di Napoli esplodono la propria bellezza e femminilità come Sofia Loren. Il suo è un mito, un personaggio cult imitato più volte, apprezzato sempre e non solo dal pubblico maschile. E’ l’immagine di una città che si bella e si fa donna attraverso l’irresistibile fascino della sua maggiorata. Che ha perfino caricato di senso erotico la quotidiana vita dei vicoli di Forcella nel dopoguerra, fra sventurati superstiti, contrabbandieri di sigarette e vecchie e tuttora esistenti pizzerie che hanno sfamato piccoli e adulti con prelibate pizze fritte e calzoni napoletani. Un panorama di disperazione e laboriosità. Sommersa certo, ma indice di un’attività continuativa e prolifica in cui s’innesta tutto il sex-appeal della contrabbandiera in vestaglia con prole al seguito e tresche sentimentali in casa. Dunque una donna lavoratrice, una donna madre, una donna amata e ricercata. Una donna moderna nel presepe delle Napoli distrutta dai bombardamenti, che hanno fatto crollare palazzi e civiltà, di cui rimane oggi solo il retaggio culturale, quello che si consola con il passato illustre e il presente incapace di rendere la magnificenza trascorsa: l’indigeribile detto per cui “si stava meglio quando si stava peggio”. Oggi in effetti non abbiamo icone nemmeno lontanamente assimilabili all’esperienza della Loren, il made in italy che ha sfondato anche negli USA. Forse a causa dei cambiamenti nel desiderio della classe spettatoriale, quella che tiene in piedi l’intero edificio della rappresentazione: di maggiorate come Loren E Lollo non se ne vedono più, al posto loro una miriade di comprimarie sempre più vicine alla statura di chi le guarda, sempre più comuni e non più “bigger than life”, come è stato il cinema delle grandi favole. Come questa, che invece resta come allora, così com’è: irresistibile.
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